In questo periodo mi capita spesso di parlare con persone che mi dicono:" Mi sento in trappola, non c'è via d'uscita". Oppure che vivono la grande incertezza di questi giorni con ansia e paura, arrivando a non sentirsi più padroni della propria vita.
E' vero, mala tempora currunt, ma possiamo trovare un modo per non perdere il nostro equilibrio e la nostra serenità nonostante le tempeste ?
Si può uscire dalla scatola pur continuando a vivere nel mondo così com'è?
Perché è istintivo pensare che se tutto fosse semplice e bello e sereno e sicuro (forse!) l'ansia diminuirebbe, ma non è vero. Non funziona proprio così. E non è neanche così vero che ci sentiamo in ansia o in difficoltà a causa di quello che succede fuori. Ci sentiamo in ansia o in difficoltà a causa di quello che succede dentro.
Se questo pensiero ti innervosisce smetti di leggere. Adesso. Perché sarà solo di questo che parleremo, ovvero di come i nostri pensieri e le nostre abitudini plasmano le nostre reazioni e finiscono per rinchiuderci in una scatola, o gabbia, o trappola. Guarderemo come fare per comprendere meglio come funzioniamo e imparare a vivere e a pensare fuori dalla scatola. Quindi se cambiare ti terrorizza e le tue abitudini non sono negoziabili evitami, non faccio per te.
"Vivere fuori dalla scatola” significa innanzitutto implementare un approccio inusuale alle strutture di pensiero logiche e convenzionali. Comincia, appunto, dal pensare fuori dalla scatola, e indica la possibilità di un pensiero differente, anticonvenzionale, che parte o procede da una nuova prospettiva.
L’espressione ha origine negli anni ’70, quando il test dei nove punti che vedi nell'immagine divenne di moda nella formazione dei manager, pare a partire dalla Walt Disney, come invito, appunto, a sviluppare il cosiddetto pensiero laterale.
Pensiero laterale…. Visione laterale…. Pensare fuori dalla scatola...
Cosa c’è in comune fra questi? Quanto profondamente sono connessi?
In questa serie di articoli cercheremo di esplorare cosa possa significare vivere fuori dalla scatola, perché siamo tanto prigionieri dei nostri stessi pensieri e cosa può invece aiutarci ad uscirne, a saltare fuori da una gabbia che non è neanche tanto sicuro che esista...
Oggi iniziamo cercando di capire cos'è questa scatola o gabbia.
Ma intanto, prima di continuare a leggere prova a guardare l'immagine e fare il test: si tratta di connettere tutti i nove punti con quattro linee continue e dritte, che tocchino tutti i punti, senza sollevare la matita dal foglio.
Scrivimi nei commenti com'è andata!
La riflessione su cosa sia la scatola e come condizioni la vita della gran parte di noi è in un certo senso il nucleo del mio lavoro e della mia esperienza personale. Anche la meditazione come percorso per uscire dal pensiero dominante ed imparare ad accedere alla realtà, in fondo appartiene alla stessa ricerca.
Cos'è la scatola per te? Come la sperimenti?
Come plasma la nostra vita e la nostra percezione? Queste sono da sempre le mie domande aperte. (Scrivimi le tue riflessioni se ti va.)
Ricordo da bambina, avevo forse 4 o 5 anni, che nel momento prima di addormentarmi si creava un momento di angoscia in cui mi sembrava che fuori dalla finestra ci fossero due persone che volevano chiudermi in una scatola. Era un'immagine per me terrorizzante. Mi nascondevo sotto le coperte, trattenevo il respiro, cercavo un modo per non farmi prendere. Per non farmi chiudere in quella scatola, e in un certo senso ci sto ancora provando.
In questi articoli useremo come sinonimi scatola, chiusura e rigidità cognitiva, sia per il pensiero che per la visione. Si, proprio l'atto del vedere, e ci spingeremo fino ad accostarli al concetto di lifetraps o autoinganno.
Un autoinganno è quel genere di trappola costituita da pensieri, emozioni e comportamenti che sono in qualche modo dolorosi e disfunzionali e ci tengono bloccati in specifiche situazioni problematiche.
Hai presente quella sensazione di ritrovarti sempre allo stesso punto, o che "tanto lo so come va a finire"? Ne parleremo nei prossimi articoli, ma tutti abbiamo delle "trappole di vita" perché in qualche modo nessuno esce indenne dall’infanzia, e che si tratti di un trauma significativo o di un insieme di sensazioni ed eventi difficili, tutti prima o poi abbiamo trascurato dei bisogni importanti o ci sono accadute situazioni difficili e dolorose.
Allora, se hai letto fin qui e sono riuscita ad incuriosirti scrivimi le tue osservazioni, e poi cercheremo insiemedi esplorare cosa ci spinge a chiuderci in una scatola, come e perché si formi e scatti questa nostra trappola personale, e a capire come se ne esce.
E soprattutto se si può vivere fuori!
Con Amore
Ilaria
Quest'estate, sul mare, mia figlia ed io costruivamo un castello. Era partito come un castello di principesse, ma strada facendo è diventato l’antro del drago nelle viscere del castello di Camelot, dove Merlino e l’Ultimo Drago si incontrano, e parlano.
È un luogo dal quale Merlino si sente chiamato, ci entra con paura anche se (e forse proprio perché) non può farne a meno, e poi piano piano impara a conoscerne le regole e i tesori.
Impara che bisogna avvicinarsi con rispetto e grande sincerità, e che il Drago risponde sempre, anche se non sempre ciò che dice gli piace, e che quando chiede aiuto dal profondo del cuore lo riceve. Ma dev’essere disposto a dare qualcosa in cambio.
Inutile dire che la trasformazione del castello è stata divertente, entusiasmante, travagliata, complessa. Un vero viaggio.
E in questo viaggio ci siamo confrontate ed esplorate, grazie al lavoro che le mani facevano, alla sabbia che prendeva forma, all’acqua che arrivando improvvisa scavava tunnel imprevisti e faceva magari crollare un pezzo a lungo lavorato, aprendo allo stesso tempo una diversa prospettiva.
Alla fine serviva un punto dove Merlino potesse mettersi per parlare con il drago. Su questo mia figlia è stata molto chiara: "deve stare all’altezza degli occhi, così si vedono e parlano e si capiscono".
In quel momento, mentre insieme costruivamo una scala che permettesse a Merlino di scendere nell’antro e di trovarsi all’altezza degli occhi del Drago rimanendo comunque al sicuro e con un buon appoggio, (se è stanco si deve sedere mamma!) mi sono resa conto che tutto quel lavoro era stata allo stesso tempo una meravigliosa e profonda sessione per entrambe, e una perfetta metafora del lavoro che offro a chi si rivolge a me.
Non ho mai saputo davvero spiegare il lavoro che faccio e mi trovo scomoda ad usare nomi o definizioni comuni.
Faccio tante cose diverse, da sempre. Esplorando questo sito ne puoi scoprire parecchie.
Oggi forse risponderei così: propongo viaggi, esploro mondi, aiuto a costruire castelli. In aria e in terra.
Ma sono anche curiosa di sapere tu cosa ne pensi, cosa hai trovato o trovi lavorando con me. Scrivimelo se ti va, mi aiuterà forse a definire il filo che le unisce e forse a saper rispondere finalmente a questa difficile domanda: "Ma tu cos'è che fai?!?"
Ci siamo, questa sarà l’ultima delle notti Sante.
Come è stato questo viaggio per te? Cosa ti hanno mostrato i tuoi sogni, i pensieri, le intuizioni di queste due settimane?
Io sono ancora una volta sorpresa e meravigliata di come semplicemente aprire la porta ad una possibilità metta in moto miracoli. Sta a vedere che funziona davvero?!? ;)
Stamattina aprendo le finestre ho sentito l’inverno vero, pieno.
Non siamo più nel passaggio, adesso i semi sono nella terra e tutto si acquieta. È il tempo della pazienza.
Una cosa possiamo comunque farla, sempre: avere cura del nostro sentire, del nostro benessere, dei pensieri che sentiamo e delle frequenze che scegliamo. Di ciò che facciamo.
La maggior parte delle volte lo facciamo al contrario: pensiamo che per sentirci bene abbiamo bisogno di quella relazione, di quel nuovo lavoro, di quel cambiamento, o che il desiderio del momento venga soddisfatto.
"Potrò essere felice solo quando... ", hai presente?
Beh, Potresti aver notato che non funziona. Anche se ti senti eccitato, soddisfatto, fiducioso, felice per un po’, la sensazione svanirà. Rapidamente.
E dovrai trovare qualcos'altro di cui hai bisogno per sentirti bene, spostando il momento in cui finalmente la tua vita inizierà ancora un po’ più in là.
Pensiamo che la nostra felicità dipenda da qualcosa al di fuori di noi, ma la verità è che quando ci sentiamo bene tutto fluisce. L'avrai notato molte volte, no?
Quando rendiamo il benessere la nostra priorità, tutto il resto può scorrere, e i semi germogliano, naturalmente.
Paradossalmente, quando mi sento bene, ottenere o meno ciò che desidero smette di essere fondamentale o illusione di cambiamento.
Il circolo virtuoso dello stare bene con me e dentro di me diventa il focus.
Ma non posso generare benessere mantenendo vibrazioni basse, rimuginio, lamentele, giudizi e autogiudizi, questo ormai lo sappiamo.
Quindi oggi ti propongo un piccolo esercizio pratico per onorare il modo in cui ti vuoi sentire, e imparare a dirigere la tua energia in modo da poter attrarre e manifestare ciò che desideri. Per scoprire come puoi sentirti come vuoi.
Ecco come farlo: Torna ai tuoi semi, di cui abbiamo parlato qui, alle cose che hai deciso di coltivare in questo anno che inizia, e prova a porti questa domanda: cosa posso fare per coltivare quella sensazione? Focalizzati sulla sensazione, non sull’oggetto.
Ad esempio, se vuoi più amore nella tua vita, come puoi amarti di più? Se vuoi sentirti supportata, come puoi supportarti di più?
Se vuoi sentirti vista, come puoi vederti di più?
Scrivi una cosa che puoi fare per coltivare la sensazione che vuoi generare nella tua vita. Una piccola azione, e poi falla. Anche minuscola, ma fai quello che ti aiuta a provare quella sensazione oggi.
Non aspettare che il tuo desiderio prenda chissà quale forma per sentire i suoi grandi benefici.
Non è più tempo di aspettare il Principe Azzurro, se vuoi sentirti più amata prova a fare qualcosa per amare te stessa oggi, anche un lungo bagno.
Qualcosa per te.
Un cappuccino proprio come piace a te. Una candela, una canzone.
Se vuoi sentirti più sano, prova a muovere il tuo corpo in qualche modo oggi. O chiudi la scatola dei cioccolatini. Solo oggi, senza grandi proclami di “mai più” o “d’ora in poi”.
Solo per oggi.
Prova ad impegnarti ora a fare una piccola cosa, semplice e pratica, per coltivare il sentimento che vuoi manifestare, il seme che vuoi coltivare, senza se e ma.
Osserva come ti senti, e “memorizza” questo sentire.
Il sentire è la chiave, e il sentire dipende da noi molto più di quanto crediamo.
Possiamo farne una mappa per ritrovare la strada, e poi ci raccontiamo com’è andata, ti va?
Nel periodo più freddo e buio dell'anno, in cui l'impulso a ritrarsi dal mondo è più forte, possiamo accogliere l’invito a rivolgerci verso l'interno, curare le terre interiori dell'anima, coltivare i nostri sogni, e seminare nel cuore ciò che desideriamo raccogliere nel prossimo anno.
Cosa vuoi infondere nel tuo anno? Vuoi incarnare più amore, più compassione, più resilienza, o coraggio, bellezza, verità?
Ci è capitato spesso di parlare di eclissi, di luna piena o nuova, ma mai di una grande congiunzione come quella di oggi, 21 dicembre 2020.
La parola "congiunzione" è usata in astrologia per descrivere l'incontro dei pianeti, mentre una "grande congiunzione" si riferisce specificamente all'incontro di Giove e Saturno.
Sarà la prima dal 2000 e l'allineamento più vicino dal 1623. Grandi trasformazioni nell’aria...
Ti ricordi dov’eri nel 2000, e com’era la tua vita?
Cosa e dove ti hanno portato questi 20 anni?
Sia il macro ciclo che ha generato il mondo delle macchine che il micro ciclo degli ultimi vent’anni si stanno concludendo. E si sente. Non hai anche tu la sensazione che ci troviamo alla fine di un’era, sia personale che collettiva? Che il mondo e la vita come li conoscevamo siano arrivati al capolinea?
Questo pensiero può essere terrificante se ascoltiamo la narrazione collettiva, fatta di ansia e paura, ma possiamo anche provare a guardarlo da un altro punto di vista.
Per gli astrologi stiamo entrando nell’era dell’acquario.
Che tu sia attivo o meno nel gioco spirituale, questo evento sta generando molta attenzione, e c’è una narrazione comune nelle culture aborigene che si stanno preparando per questo evento da anni.
La ragione è la convinzione che il cambiamento di energia che sta avendo luogo nell'atmosfera creerà frequenze più alte che influenzeranno l'umanità, con uno spostamento significativo dei valori collettivi.
Si dice anche che questo punto di svolta planetario ci permetterà di innalzare le nostre vibrazioni, imparando ad essere fedeli a noi stessi, autentici e “sempre più umani” anziché continuare ad inseguire l’ideale fintopositivo di efficienza, performance, apparenza e sforzo che ci ha dominati finora.
Forse smetteremo di essere e voler essere macchine, chissà.
Già con la pausa forzata delle varie quarantene abbiamo avuto un assaggio di questo rallentare, e per tanti riprendere a correre e “funzionare” è molto faticoso. Disorienta.
Se alla parola "vibrazioni" ti sei perso considera questo: tutto ciò che ci circonda è una forma di energia, che tu lo veda o meno, o che tu voglia crederlo o meno.
Se ascolti lo senti. O se studi fisica lo impari.
Una vibrazione è semplicemente quell'energia di cui sei composto e che costantemente generi e trasformi. Ed emetti.
Crei energia in ogni momento della tua giornata, pensando, facendo o dicendo, e tutto ciò che fai o non fai, ogni pensiero ed ogni parola hanno una vibrazione specifica che viene inviata nel mondo. E crea un mondo.
Troppo spesso dimentichiamo questo. O ci piace credere che non sia vero, che siano le solite sciocchezze new age.
Non lo sono, ed è arrivato il momento di prendercene la responsabilità.
Anche la data della grande congiunzione è speciale: oggi, 21 dicembre, è il giorno più corto e la notte più lunga dell'anno, il giorno del buio che regna segnando allo stesso tempo il ritorno della luce.
Scegli come celebrare questo momento, l’ora più oscura in cui la porta di un’epoca forse si chiude e un’altra forse si apre, ma non ignorarlo.
Tanti nel mondo si riuniranno, virtualmente visti i tempi, per meditare, pregare, alzare le vibrazioni del pianeta.
Il 21 dicembre alle 21,02, si terrà anche una cerimonia aborigena a Uluru (una grande formazione rocciosa nell’Australia centrale) con l’intenzione di ricaricare e rivitalizzare il cuore spirituale del pianeta.
Il “canto” che la descrive è molto suggestivo:
“Le aspettative e la speranza sono che la 'scatola magica', come descritta nella profezia aborigena, possa essere accesa e che possa mettere in moto una graduale ascensione nella vibrazione terrestre.
Ogni anima sarà attratta dal livello di energia che riflette il suo karma e l'attuale livello di consapevolezza. Accendere questa scatola magica non dipende solo dalla cerimonia, ma soprattutto dal fatto che ci siano abbastanza persone sul pianeta, in questo momento, in uno stato cosciente di amore, gioia, compassione.”
Il canto prosegue poi con un invito:
“È arrivato il momento di azzerare e riequilibrare. Ogni persona può aiutare a ricalibrare tutto ciò che ci circonda, e la tua energia può aiutare ad accendere questa scatola magica.
Abbiamo bisogno di molte persone per farlo. Rendilo un giorno di pensieri pacifici e positivi, che inondino il pianeta, e se abbastanza anime si uniscono, l'energia che creano potrebbe essere sufficiente per guarire il pianeta. Unitevi a noi, non avete niente da perdere e tutto da guadagnare.”
Mi piace molto questo invito, e l’immagine di una “scatola magica” da accendere tutti insieme.
Credo che siamo venuti su questo pianeta per imparare due lezioni: trovare l'amore e la magia e capire perché siamo qui. Qual è il nostro contributo. Perché nessuno si salva da solo.
Il tempo dell’individualismo forse sta tramontando, e i valori comunitari e di condivisione dell’Acquario sono ciò di cui abbiamo più bisogno nella notte più buia.
Possiamo spegnere i telefoni stasera, uscire a guardare le stelle con i nostri cari.
Connettiti con coloro che ti hanno toccato il cuore e coltiva un sentimento di amore, gratitudine e compassione.
Il modo migliore per tenere alta la vibrazione è lasciare andare la paura ed espandere l'amore e la luce.
La prossima volta sarà nel 2080, quindi i semi che piantiamo oggi saranno con noi per molto tempo. Forse tutto quello che ci rimane. Scegliamoli con cura e consapevolezza.
Per me questa foto è la sintesi perfetta del mondo che canto, da sempre e da oggi con ancora più forza.
“La terra ha musica per coloro che ascoltano” ha scritto Shakespeare. E ogni cuore ha un canto, io credo.
Trova il tuo, e cantalo a squarciagola. Siamo in tanti sai?
Per me il Sabato Santo è sempre stato un giorno malinconico. Il giorno senza dio.
Dopo il pathos del venerdì e prima della rinascita uno spazio di silenzio senza consolazione.
Negli ultimi giorni ho fatto lavorare il mio lato ossessivo-compulsivo e ho messo in ordine la libreria. Ma non in ordine e basta. In ordine di colore...
Si, contro ogni logica pratica ho scelto di fare una cosa che ho sempre sognato ma mi sembrava impossibile, generando accostamenti entusiasmanti e deliziando la mia esteta interiore:
Borges tra Mauro Corona e il trono di spade, Yourcenar che si appoggia a Tondelli, Kremer sposato a Reich. Vertigine di possibilità inattese.
Avalon e la coltivazione degli iris.
Riprendere in mano i miei libri, riaprirli, toccarli, mi ha dato una specie di brivido di libidine, anche se sono miei e li ho anche già letti, ma possederli e pensare di rileggerli aveva un che di erotico, famelico. Eccitante.
E insieme è stato anche un viaggio indietro nel tempo, a tratti doloroso. Buttare via cose, appunti, libri studiati, le cassette di quando insegnavo aerobica, gli appunti per la tesi, i pizzini di mio padre. Il pensiero che è stato necessario per lasciarli andare è stato che quello che c’è lì dentro e che serviva ce l’ho da qualche parte dentro, comunque, e quelle me non sono più, tutta quella vita l’ho già vissuta.
Un’indigestione di madeleines. Una personale processione del venerdì santo, un lungo ciclo che si chiude. In un certo senso il commiato dalla vita vissuta fin qui.
Stanotte poi dormire è stato difficile, e stamattina mettere insieme il coraggio per alzarmi ancora di più ma con il caffè è arrivato un uccellino a cinguettare sulla mia spalla, una magia di sincronicità.
Leggo un messaggio di qualcuno che non conosco, apparsomi per caso sui social:” Questo è l’unico giorno dell’anno senza Dio."
Anche per te? Allora siamo in due penso, e vado avanti a leggere.
"Da bambina il mio parroco ci faceva andare in chiesa il sabato santo per ascoltare il silenzio di Dio, diceva lui.
Un temerario della spiritualità.
Il silenzio di Dio, lungi dal richiamare sensazioni di pace e serenità, aveva per me le note di un’attesa che non sapevi bene come andava a finire.
Era come tutte le volte che perdi qualcosa o qualcuno e resta solo da tacere.
Come quando non rimane niente di tutto quello che credevi ed è finita nel peggior modo possibile.
Come quando tutto quello che potevi fare forse l’hai fatto, ma rimane il dubbio che potevi fare meglio e resti fermo ad aspettare non si sa bene cosa.
Come adesso, che stiamo tutti immobili in attesa che arrivi questa rinascita dal contagio zero e abbiamo davanti le strade vuote e un’estate confusa tra un’indefinita fase 2 e una fase 3 che è un miraggio.
Forse abbiamo avuto un’intuizione poco meno di un mese fa (...) quando abbiamo iniziato a creare (...)il nuovo progetto partendo da Eva, la prima donna. Il simbolo del libero arbitrio e della disobbedienza, dell’emancipazione, della consapevolezza e del "peccato originale" di voler scegliere rischiando; l’origine di questo nostro modo misterioso di pensarci infiniti per poi ritrovarci a fare i conti con la finitezza.
Proprio come oggi.
In questo silenzio abbiamo fatto parlare Eva.
Colei che ha iniziato da capo il mondo l’istante esatto in cui ha perso il paradiso.
Proprio come noi.
Quando Dio tace, Eva parla”. Manuela Toto
E' stata un'illuminazione, una serie di piccole lampadine associative hanno preso ad accendersi.
Ebbene si, quando Dio tace Eva parla. E in questi giorni parla tanto, in molti modi. Chiede di disfare e rifare, amare e perdonare, soprattutto lasciare andare e ripartire leggera.
E ora sono qui piena di eccitazione e curiosità.
Come sarà la prossima vita, la vita di Eva? Cosa porterà?
E la tua Eva cosa ti sussurra?
Raccontami...
I giorni intorno all’equinozio sono giorni importanti, preziosi.
«Più invecchio anch'io, più mi accorgo che l'infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono, ma sono i due stati più profondi in cui ci è dato vivere. In essi si rivela la vera essenza di un individuo, prima o dopo gli sforzi, le aspirazioni, le ambizioni della vita. Gli occhi del fanciullo e quelli del vecchio guardano con il tranquillo candore di chi non è ancora entrato nel ballo mascherato oppure ne è già uscito. E tutto l'intervallo sembra un vano tumulto, un'agitazione a vuoto, un inutile caos per il quale ci si chiede perché si è dovuto passare.» Marguerite Yourcenar
Sette anni fa, nel giro di pochi mesi, è nata mia figlia, è improvvisamente morto mio padre, e sono sopravvissuta ad un incidente mortale.
Ecco, leggendo queste righe ho ritrovato il sapore ed il senso di quei giorni, di quei mesi, di quel tempo sospeso tra culle, tombe, ospedali, incastrata in un corpo immobile, dolente e trasformato, difficile da riconoscere, un tempo in cui ho trovato un indescrivibile silenzio. Come se l'insensato ballo mascherato fosse finalmente finito, o meglio, non fosse mai davvero esistito.
A volte allora mi sono chiesta se sarei riuscita a riprendere il mio lavoro. Se sarei stata di nuovo disposta ad accogliere le incertezze, le paure, gli sforzi e le maschere di chi a volte mi chiede sostegno senza essere davvero disposto a darsene. Se avrei ancora trovato una ragione per credere che quel "vano tumulto" in cui trascorriamo gran parte della nostra vita sia una cosa seria.
Se avrei ritrovato la pazienza di ascoltare in me e in altri tanti piccoli grandi problemi quotidiani senza vederli solo come....si, passatempi....
Due giorni fa, in un seminario, una donna raccontava la sua esperienza con il tumore come un risveglio che l'ha liberata da quell'armatura di creta che la circondava, separandola dalla Vita, e ha condiviso con noi la leggerezza e la gioia che l'incontro con la sua mortalità le ha regalato, l'amore per la vita che ha trovato e la stupita scoperta della felicità per le piccole cose. Per ciò che c'è già.
Abbiamo pianto con lei ascoltandola.
E ascoltandola ancora una volta ho sentito il desiderio e l'urgenza di svegliarci alla Vita senza aspettare il momento in cui stiamo per perderla.
E' un'urgenza che a volte si fa dolorosa, ed è ciò che mi spinge a fare ciò che faccio. Paradossalmente diventa la mia lotta quando ho bisogno di lottare, e mi dimentico di accettare. E' una ferita, quando precipito di nuovo nell'illusione che qualcosa dipenda da me.
E' uno sforzo, quando inciampo. Ma è anche il mio tempio quando finalmente ricordo.
Sognare, Creare, Manifestare: ci stiamo dando il tempo di lasciar maturare i nostri Sogni, costruendo poco a poco le ali che permetteranno loro di Volare?
In questi giorni un Sogno bussa insistente alla mia porta. Lo intravedo dietro ad una vetrina, in una goccia di pioggia, mi fa il solletico e mi sveglia di notte, mi fa l'occhiolino da una notizia che leggo di sfuggita, mi cinguetta sulla spalla senza sosta.
È un sogno di quelli grandi grandi, ma è capace di insinuarsi dappertutto. Stamattina mi sono alzata pronta a guardarlo in faccia, e invece di mettermi davanti al computer in pigiama mi sono lavata anche i capelli, preparandomi come faccio quando ho un appuntamento importante.
Ho acceso il computer, cominciato a buttare giù appunti perché il Sogno cominci ad avere una forma, e una consistenza, e ho ritrovato per caso un file, salvato il primo marzo 2011. L'ho aperto.
C'era dentro il Seme. La descrizione dettagliata di un'intenzione, la stessa identica che oggi, 14 Dicembre 2017, mi ha fatto fare uno shampoo devozionale per l'incontro con il mio Sogno.
È stato una specie di shock, le sinapsi e le connessioni hanno cominciato ad accendersi e a illuminarsi come le lucine di Natale di spaccanapoli, ma più di tutto una riflessione è emersa: di quanti dei semi che lancio nell'universo in ogni momento, sotto forma di desideri o intenzioni, o sogni, mi dimentico, prima di aver dato loro il tempo di manifestarsi?
Quante volte rimango davvero accanto al mio Sogno dandogli il tempo di assumere corpo e consistenza, costruendo poco a poco le ali che gli permetteranno di volare?
Eppure nel momento in cui lo sento, quel desiderio lì, mi sembra la cosa più mortalmente importante, senza la quale non posso neanche andare avanti. Ma pochi giorni dopo, è svanito. Dimenticato. Mentre magari ha già intrapreso il suo viaggio verso di me, al punto che quando arriva non riesco neanche a riconoscerlo.
Quando introduco qualcuno alla meditazione c'è un punto su cui insisto sempre: ci vuole tempo, un tempo suo, unico e non modificabile, ogni volta diverso, perché la meditazione accada.
Quello che possiamo fare è metterci lì, praticare la tecnica che abbiamo scelto, non mollare, e darci tempo. Incontrare i nostri demoni, i guardiani della soglia, le scomodità del corpo e dell'anima e aspettare con pazienza che tutto si calmi, e il cielo interiore torni cristallino.
Si, darmi tempo, concedere a me stessa, al mio sistema stressato e invaso da troppi stimoli di rallentare, fino a fermare finalmente l'estenuante rincorsa dei pensieri, e cominciare a godere del silenzio.
Non posso forzarlo, questo tempo, e non accade perché lo voglio. Accade solo se lo permetto.
E permetterlo vuol dire creare le condizioni perchè accada, e poi restare, aspettare, non andar via, non abbandonarmi finché non è accaduto. Finché non si è manifestato. Qualunque cosa sia.
Non è forse vero per tutto? L'amore, l'intimità, una pianta o una torta. Non è forse sempre così?
Solo quando uniamo i tre ingredienti magici funziona davvero:
il saper sognare, la volontà di creare, la pazienza di aspettare la manifestazione.
Ecco, oggi ho sentito proprio questo scoprendo la mappa dettagliata del Sogno nascosta nel mio stesso computer da quasi 7 anni: perché il mio Sogno possa realizzarsi, ha bisogno di me.
E' necessario che dopo averlo visto io crei le condizioni necessarie, e poi abbia la pazienza di aspettare che fiorisca. Seduta lì accanto, mentre la vita accade, e scorre.
Non ricordo neanche dov'ero, o cosa facevo il primo marzo del 2011. Ma il mio Sogno era lì davanti a me. Già interamente visibile. Eppure mi sembrava impossibile e lontano, al punto che l'ho abbandonato lì. Pensando fosse troppo, una fantasia irrealizzabile.
Non so se ora riuscirò a realizzarlo, ma questi 7 anni in cui l'ho apparentemente dimenticato sono evidentemente serviti per creare molte delle condizioni indispensabili, tra cui in primis un ancora maggiore gusto per il rischio, e ora, forse, è pronto per Manifestarsi... Chissà!
E il tuo Sogno, in che "fase" si trova? Lo stai sognando? Creando? O è finalmente pronto per Manifestarsi?
Raccontamelo se ti va, magari insieme troviamo ancora qualche tassello mancante...
Salute, benessere, armonia,
allineamento con i fiori di Bach.
SALUTE = BENESSERE = ARMONIA = ALLINEAMENTO
Amo moltissimo le prime pagine de “A new earth” , nelle quali Eckhart Tolle parla dei fiori e della fioritura come dell’illuminazione della pianta, momento nel quale si apre una finestra sull’Essere, sul Senza-forma, talmente profonda e fragrante da essere in grado di offrirne uno scorcio anche a noi umani. Racconta del sermone silenzioso del Buddha, tenuto semplicemente mostrando un fiore, e di come questo abbia condotto Mahakasyapa alla realizzazione.[1]
Ecco, le essenze floreali rappresentano per me proprio questo invito, questa finestra sull’essere che ci permette, con grazia squisita, di assaporare qualcosa che è al di là dei nostri conflitti e delle nostre sofferenze. Con grande delicatezza i fiori ci offrono un percorso di consapevolezza e conoscenza di noi stessi, e allo stesso tempo ci aiutano a guardare oltre i limiti del nostro essere umani, verso una dimensione più ampia di noi e della nostra storia. Percorrendo questo cammino di conoscenza dei fiori possiamo comprendere, attraverso di loro, i nostri meccanismi, come funzioniamo, e come e in che direzione muoverci per raggiungere una migliore salute e un maggiore benessere.
Bach nei suoi scritti invita a considerare la malattia come un momento di riflessione sugli errori che la persona sta compiendo, in termini ad esempio di abitudini di vita o di non rispetto dei propri bisogni o delle proprie profonde necessità, e mostra chiaramente come “la salute dipenda dall’essere in armonia con la nostra anima”, ovvero dalla realizzazione de “la completa unione fra Anima, Mente e Corpo”[2].
Tradurre questo concetto in una pratica possibile non è però così scontato. Cosa significa oggi realizzare questa completa unione? Come si fa? E soprattutto, visto che il concetto appare così chiaro, perché ce ne allontaniamo? E come?
Bach nei pochi scritti rimasti ci dà alcune indicazioni, per esempio ascoltarci di più, seguire e realizzare il nostro potenziale, ma la mente di oggi è a volte troppo complessa per saziarsi con queste piccole grandi lezioni. Eppoi queste stesse cose ce le siamo sentite dire in tutti i modi, in tutte le salse, la banalizzazione della new age non ha risparmiato nessuno, eppure la domanda rimane sempre la stessa “si, ma come si fa?”
In questo percorso di consapevolezza attraverso la conoscenza delle essenze floreali ho cercato di disegnare una mappa, semplice, per addentrarci in questi territori, per incontrare i fiori, i loro doni, e con loro il nostro “posto magico”, quel luogo nel quale siamo finalmente a casa, e possiamo riposare nella fiducia che tutto andrà per il meglio.
Trovare questo posto a volte è molto facile, altre volte meno, restarci a lungo è spesso difficile. Tante cose ci distraggono, ci allontanano, a volte addirittura boicottano il nostro rilassamento e il realizzarsi dell’ allineamento che è la nostra meta.
I fiori qui ci fanno sia da spunto per l’analisi e la riflessione, sia da guide, sia da sostegno. Mi diverte immaginarli come un piccolo popolo di alleati che ci offrono, ognuno nel suo modo assolutamente unico, ciò di cui abbiamo bisogno in quel momento, fiducia, sostegno, centratura, presenza, amore, saggezza ecc.
Bach lo dice così, a proposito dei 12 guaritori: “Ciascuna delle erbe corrisponde a una delle qualità e il suo scopo è di fortificare quella qualità in modo che la personalità possa superare quel difetto che è l’ostacolo particolare”[3]. Quindi ogni erba, ogni fiore, ci offre, in un dato momento, la possibilità di nutrire e rinforzare le nostre risorse e di armonizzare quel dato conflitto.
Le essenze floreali non sono dunque solo attive nel prendersi cura di piccoli e grandi disturbi del corpo fisico, o per sedare o stimolare come avviene con le sostanze farmacologiche, ma agiscono profondamente sull’armonizzazione delle dinamiche profonde. Non “aggiungono” nulla, molto spesso invece aiutano a sciogliere e ammorbidire le cause di disagio o difficoltà, eliminando o aiutando ad integrare gli ostacoli che si frappongono fra l’individuo e il suo benessere.
[1] E. Tolle, “A new Earth”, Penguin books, 2005
[2] E. Bach, “Libera te stesso”, in TUTTE LE OPERE DI EDWARD BACH, Macro Edizioni, 2000, p.23
[3] IBIDEM, p.38
IL TABU DEL CONFLITTO, IL TRIONFO DELLA VIOLENZA
Di questi tempi il confronto o il conflitto sembrano diventati tabù collettivi. Le divergenze di opinioni o il confronto dialettico sono scomparsi, apparentemente, dalle relazioni e dalle amicizie, dagli incontri. Se non siamo d'accordo, se la pensi diversamente, il confronto diventa personale, si passa direttamente agli insulti, ci si lascia, ci si giudica. Conflitto è immediatamente violenza. verbale, fisica, o emotiva poco importa.
Ma cos'è che ci rende così reattivi?
Come mai la discussione, il confronto, anche la dialettica se vogliamo sono diventati così impopolari?
Certo le ragioni sono tante, complesse, ma forse una delle radici sta anche nella rimozione collettiva delle emozioni più dense, e nella moda del pensiero positivo.
Nell’approccio più semplice e comune al lavoro con i fiori di Bach, che introduciamo nel primo livello, si tende a porre l’accento su un approccio di tipo sintomatico...
Come funziona un Per-corso di consapevolezza con fiori di Bach?
Nell’approccio più semplice e comune al lavoro con i fiori di Bach, che introduciamo nel primo livello, si tende a porre l’accento su un approccio di tipo sintomatico, ovvero se provi questo prendi questo fiore, se sei geloso prendi holly, se hai paura mimolus, se ti senti in colpa Pine. E’ semplice e funziona anche se il disturbo parla nel corpo senza che l’emozione corrispondente affiori alla coscienza.
In questi casi comprendere l’analogia che il disturbo manifesta, comprenderne il messaggio, diventa chiaro usando il fiore di riferimento. Ogni fiore infatti ha sia una rispondenza cutanea precisa, che consente di associare il fiore al disturbo, sia una dimensione analogica che permettere di comprendere la storia che il sintomo racconta.
In questo senso i Fiori di Bach funzionano come una mappa. Una fantastica e completa mappa di quel territorio sconosciuto che è l’inconscio, così difficile da illuminare e scorgere per un attimo nelle sue profondità.
Nel primo livello impariamo ad usare come mappa l’analogia del disturbo, cominciamo a chiederci “cosa mi sta dicendo il mio corpo?”, nel secondo introdurremo le rispondenze cutanee e nel terzo quelle energetiche.
Ieri sera, ad esempio, mi sono accorta di un dolore al seno sinistro, proprio come una mastite. Non riuscivo a capire da dove venisse, sentivo solo male. Una parte dei pensieri è partita subito alla ricerca di una causa meccanica, avrò sbattuto, forse un’infiammazione o chissà cosa, un’altra parte di pensieri ha cominciato ad indagare dentro: ”cosa sta succedendo, di cosa mi parla questo dolore?”.
Lì per lì non riuscivo proprio a trovare la chiave, poi osservando il dolore attraverso il linguaggio dei fiori ho cominciato a vedere…. Oggi la mia bambina va alla scuola dell’infanzia. È il primo giorno. E riflettendo sui fiori e il loro messaggio ho potuto vedere con chiarezza il dolore che provo per questo primo simbolico distacco, e il carico che ho messo su questo momento per i pregiudizi che ho sull’educazione scolastica. Insomma, non volevo proprio staccarmela dal seno, e il seno me lo ha detto col suo dolore!
È bastato questo, ascoltare ed accogliere il messaggio del corpo in quel momento perché il dolore si sciogliesse. E farmici una risata sopra, sulla chioccia che sono, ha fatto il resto.
Ora, quest’idea che il sintomo sia spesso un messaggio non è mia, né nuova. Ne parlano tanti autori, ed in modi molto più seri ed approfonditi. Il valore aggiunto di questo tipo di approccio al lavoro con i fiori è però la sua semplicità, ed immediatezza.
Se ieri sera non avessi compreso il messaggio, ovvero se quel contenuto inconscio- il mio carico e il dolore del distacco- non avessero trovato la via per affiorare alla coscienza, avrei potuto prendere il fiore e il processo di rilascio sarebbe probabilmente accaduto lo stesso.
Sarei stata meglio, anche senza capire razionalmente perché.
Perché molto spesso l’ostacolo al poterci guardare, e comprendere, è proprio la mente razionale e giudicante che sa sempre come dovremmo essere, ovvero diversi, e cosa dovremmo sentire, cioè qualcos’altro da quello che sentiamo. È matematico, no?
Secondo il nostro giudice interiore dovremmo essere perfetti secondo uno standard inafferrabile, che si sposta inesorabile ad ogni nostro passo. Nel mio caso, ieri, l’immagine ideale e fittizia della Mamma Perfetta poteva facilmente mettersi di traverso, cominciando a giudicare il mio dolore.
E questo non avrebbe aiutato ad accettare che sono anche una chioccia, a volte. Ansiosa e giudicante. A volte, non solo e sempre come il mio giudice interiore sostiene. Ma quando mi giudico ed entro in conflitto il dolore appare, il disturbo si manifesta.
Cosa posso fare allora?
Vederlo, accettarlo, se possibile riderne un po’. Questo permette al conflitto di ammorbidirsi, attenuarsi, a me di lasciare andare. Di crescere un altro po’, ed includere un altro pezzetto di me
nella coscienza. E se non capisco, o non posso accettare o riderne, posso prendere uno o più fiori che mi aiutino ad accogliere, armonizzare e sciogliere quello specifico conflitto. Come vedremo
nel percorso, molto importante è anche il lavoro con le intenzioni: anche se non so come fare a risolvere quel particolare nodo, posso rivolgermi alla risorsa che il fiore offre e porre lì la mia
intenzione. Ma questo argomento lo trovi illustrato meglio qui.
Proseguendo poi nel cammino di consapevolezza con il secondo livello, possiamo cominciare a riflettere su come impostare un percorso di crescita e consapevolezza nostro o del nostro eventuale cliente, che porti alla soluzione dei disturbi e dei fastidi attraverso una comprensione ancora più profonda del loro messaggio. Sistemica.
Possiamo imparare a guardare come funziona la nostra mente, e come alle volte si creino conflitti tra questa, e il percorso della nostra anima: l’anima tende verso la realizzazione, l’espansione, l’uno, la mente verso la sopravvivenza, la conservazione, il due, ecc….
Questi conflitti inevitabili generano sofferenza, e questa sofferenza si manifesta nella nostra vita, a diversi livelli.
Lavorando con i fiori e nel modo specifico che introdurremo, basato su risorse e intenzioni noi invitiamo la composizione e lo scioglimento di questi conflitti attraverso la realizzazione di una comprensione più ampia e di un… ”allargarsi” della nostra coscienza. Appropriarci delle nostre risorse, riscoprirle o recuperarle ci permette di scegliere sempre di più, ci permette di essere pienamente, e sempre più liberi.
Le risorse che i fiori ci offrono, infatti, altro non sono che uno specchio delle nostre... non certo flaconcini magici di fiducia o capacità o amore o efficienza, ma piuttosto “attivatori” che ci ricordano che dentro di noi c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Raccontami la tua esperienza, e proviamo insieme a disegnare la mappa per tornare a casa, cominciando dai 38 rimedi scoperti da E.Bach….
Scleranthus, fiore di Bach n. 28
In questi giorni un'amica mi parlava della difficoltà di scegliere e dell'insicurezza/paura di sbagliare che la fa dipendere troppo spesso dal parere degli altri, e che finisce per innescare l'attacco del suo giudice interiore che davanti alla sua incertezza fa partire il disco del "non sei buona a nulla, non riesci neanche a capire cosa ti piace, ne inizi mille e non ne finisci una" ecc.... Ecco, questo è proprio un perfetto esempio di scleranthus, in uno stato disarmonico...
Questo fiore bellissimo può aiutarci quando ci troviamo nell’incapacità di decidere tra due cose, considerando giusta ora l’una, ora l’altra.
La nota dominante di questo stato è la mancanza di stabilità e fiducia. In noi stessi soprattutto.
Poiché manca la sicurezza in sé, si cerca (troppo spesso) il consiglio degli altri finendo per oscillare tra le diverse opinioni degli amici che generano ancora più confusione e auto
giudizio.
Nel parlare di un fiore possiamo considerare sia lo stato disarmonico descritto, che tutti prima o poi attraversiamo, sia, se in quello stato ci riconosciamo costantemente, quella come la nostra
tipologia di base.
I tipi scleranthus, non riuscendo a prendere decisioni sono mentalmente tormentati, spesso nervosi e senza pace. Il problema, quando ci troviamo in questo stato disarmonico, è pretendere di fare
assegnamento unicamente sull’intelletto, come se questo garantisse la "giustezza " della decisione, e non sull’intuizione, vera guida nelle scelte.
Questo fiore è utile anche in ogni oscillazione tra estremi: la depressione e la gioia; momenti di entusiasmo alternati a crisi pessimiste, bulimia e anoressia.
Un elemento molto interessante è che scleranthus aiuta anche a far pace col proprio corpo, a perdere peso riequilibrando il rapporto col cibo e ammorbidendo i picchi di abbuffate e digiuni.
Kraemer lo considera fiore centrale del binario collegato a crab apple, fiore per chi non si piace....
Possiamo usare scleranthus anche quando i sintomi, la febbre, ecc. vanno e vengono, sorgono e spariscono con rapide oscillazioni, seguendo lo stato mentale, oppure per il mal d'auto, d'aereo,
anche per i bambini.
Il rimedio porta una chiara visione mentale, capacità di prendere decisioni rapide, determinazione e calma di fronte alle difficoltà. Sviluppa le caratteristiche di un leader efficiente.
Bach descrive così Scleranthus: Rimedio per coloro che non riescono a dare ordine alla propria mente nel modo che vogliono; prima gli sembra giusta una cosa, poi un’altra. I loro desideri, come i
loro sintomi corporei, sembrano andare e venire. Sono privi di determinazione ed incapaci di decidere rapidamente o in modo definitivo; inoltre le loro decisioni cambiano velocemente.
Incertezza nelle azioni fisiche, incostanza, tremore, movimenti traballanti e incontrollati, camminata incerta. Il loro umore cambia rapidamente: prima sono allegri, poi depressi. La loro
conversazione può saltare rapidamente da un oggetto all'altro.
Può essere preso solo, in diluizione, oppure in combinazione con altri fiori.
Scrivimi se vuoi saperne di più,
buona scelta
Ilaria
Non è facile invecchiare con garbo. Bisogna accertarsi della nuova carne, di nuova pelle, di nuovi solchi, di nuovi nei.
Bisogna lasciarla...
Qualche giorno fa guardavo Biancaneve con mia figlia, che vedendo la principessa correre nel bosco tra alberi terribili e minacciosi mi chiedeva:” ma perché gli alberi vogliono prenderla?” .
Le ho risposto che non era davvero così, ma che quando abbiamo paura tutto intorno a noi ci sembra minaccioso e spaventoso, e più ci spaventiamo e peggio ci sembra. Tutto. Biancaneve era spaventata dal cacciatore, e la sua paura le faceva vedere tutto in modo distorto e spaventoso.
Alla fine scopriamo con lei che quegli occhi terribili che sembravano spiarla erano solo gli animaletti del bosco che la aiutano a trovare la casetta dai nani.
Non so se la risposta l’abbia soddisfatta, certamente in me ha fatto nascere una serie di riflessioni sulla paura e sulle emozioni, e su come ci perdiamo lì dentro.
Tutti abbiamo paura. Anche se non la riconosciamo. A volte capita di sentirla quasi per caso, perché magari il corpo la manifesta anche se la coscienza non l'aveva riconosciuta, le mani sudano, o lo stomaco si stringe, o i pensieri si fanno veloci e inarrestabili, mentre a volte passa del tutto inosservata, o magari la neghiamo, ma c’è. Spesso. Più spesso di quanto immaginiamo.
A volte l’attivazione del sistema nervoso è sottilissima, e mi accorgo solo per caso di avere le mani o i piedi freddi. E piano piano, ascoltandomi, trovo la paura. Magari è stato solo un pensiero a svegliarla, una tigre di carta. Eppure c’è. E il viaggio inizia.
Quando la paura prende il sopravvento può accadere di precipitare in quella che si può chiamare la trance della paura. L’ipnosi della paura. Come Biancaneve. L’avrai notato, quando un’emozione come la paura, la rabbia o la vergogna prende piede, spesso ci ritroviamo in preda ad un incessante monologo interiore, martellante e ripetitivo, che appunto ci ipnotizza. Ci trascina in una trance che amplifica quell’emozione, allontanandoci dal presente e portandoci in un baleno in quel luogo dentro di noi in cui sperimentiamo ed interpretiamo tutto ciò che ci accade, la vita, attraverso il filtro di quella emozione. Paura, o rabbia, o vergogna.
Tesi nell’anticipazione ansiosa di tutto ciò che andrà storto il cuore e la mente si contraggono, le funzioni corporee si modificano, e quella emozione diventa il centro della nostra identità, riducendo la capacità di vivere pienamente e di essere davvero presenti e vedere cosa sta davvero accadendo. La visione così ristretta e focalizzata su ciò che ci spaventa impedisce di cambiare punto di vista e di uscire dal pozzo.
Questa trance solitamente inizia a costruirsi nell’infanzia, quando facciamo esperienza della paura in relazione ai nostri adulti di riferimento. Non sono necessari grandi traumi, è sufficiente ad esempio sentire la frustrazione o la rabbia della mamma svegliata per l’ennesima volta nella notte dal nostro pianto per farci sentire non più al sicuro, per sperimentare la paura in braccia e mani che si stringono, gola che si chiude, battito cardiaco che aumenta.
Ogni volta che si sente non accolto, o non al sicuro, il bambino prova paura. E nella prima infanzia la paura non è un pensiero, è un’esperienza fisica. Inevitabile per un essere totalmente dipendente dall’altro per la sua sopravvivenza.
La reazione fisica di paura in risposta alla disapprovazione o alla rabbia dell’altro, o alla non soddisfazione di un bisogno, al pericolo percepito, ecc…, accade continuamente, e inevitabilmente. Un rimprovero, un distacco, tante piccole e grandi cose possono schiacciare il bottone della paura dentro di noi. E non sono evitabili. Non sarebbe neanche sano se un genitore fingesse di non essere arrabbiato, o non ponesse limiti al bambino per non spaventarlo. La paura è una delle chiavi della sopravvivenza, e non può essere “abolita”. Quello che però può e deve accadere è insegnare al bambino a sentirla, per paradossale che possa suonare a non temerla, e a superarla.
Poi ci sono anche i traumi, più frequenti di quanto si pensi. Singoli eventi o ambienti e stili genitoriali traumatizzanti sono molto più diffusi di quanto si creda. Anche in perfetta buona fede, come ad esempio la moda attuale dell’estinzione graduale del pianto.
In ogni caso, tornando alla trance della paura, quando il corpo del bambino, naturalmente flessibile e morbido, è costantemente esposto alla paura, comincia a diventare teso in modo cronico. Crescendo le spalle rimangono permanentemente sollevate, la testa si china, il petto si incurva, i muscoli si irrigidiscono. Oppure sono gli organi interni che modificano il loro funzionamento. La momentanea reazione di difesa tende nel tempo a diventare un’armatura permanente. Chogyam Trungpa la definisce “un grumo di muscoli tesi a difesa della nostra esistenza”.
Finché non diventa dolorosa, tendiamo ad ignorare questa armatura. È ciò che riconosciamo come casa, il modo “normale” di sentirci. Ma a volte possiamo vederla negli altri, o cominciare a percepirla quando meditiamo o ascoltiamo il corpo. Può presentarsi come tensione, contrazione, durezza, o anestesia. Parti in cui non sentiamo niente, o parti dolorosamente rigide.
Anche adesso mentre scrivo, dopo anni di lavoro sul corpo, devo rilassare consapevolmente le spalle che appena mi distraggo tornano su, alla posizione di difesa appresa e scritta nel mio corpo dall’infanzia. La paura di sbagliare, o di espormi, è qui. Se non mi ascolto profondamente non la sento, non ne sono consapevole, ma le mie spalle la esprimono.
La trance della paura non crea solo contrazioni e rigidità nel corpo. Anche la nostra mente si irrigidisce nella paura, rimanendovi spesso intrappolata. Quella fondamentale capacità del cervello di focalizzarsi totalmente sulla sopravvivenza nelle situazioni di pericolo reale può diventare ossessione. La nostra mente, associando le diverse esperienze passate, produce storie infinite che ci ricordano le cose terribili che possono accadere, costruendo incessanti strategie su come evitarle, trasformando l’emozione del momento in una trance ipnotica da cui diventa sempre più difficile uscire. Più rimango nella testa ad elaborare strategie, convincendomi che questo sia indispensabile per trovare una soluzione, più la trance diventa profonda. La mente cerca di controllare la situazione con un crescente senso di urgenza, cercando le cause del problema e un colpevole, io o gli altri.
Tutto questo è vero per la paura, ma altrettanto per la vergogna, o il senso di non valore, di inadeguatezza. I meccanismi sono davvero molto simili. Quella parte di noi che prende tutto personalmente, che legge ed interpreta la vita in termini di Io-me-Mio prende il sopravvento creando separazione e isolamento: ”qualcosa di tremendo mi accadrà; sono sola/o; ecco, sta accadendo di nuovo, lo sapevo, la vita ce l’ha con me; devo fare qualcosa io perché a nessuno importa; non ce la faccio più, nessuno capisce; se fossi…; ecc…”. Ognuno di noi ha il suo repertorio, ma in fondo i temi sono più o meno gli stessi: isolamento, dubbio, senso di incomprensione, abbandono, separazione.
Sentimenti, storie e ricordi di vergogna e svalutazione sono sempre presenti nella trance della paura. Ne sono alternatamente figli e cause. Quando crediamo che ci sia in noi qualcosa che non va, questo nutre e crea una sensazione di pericolo. La vergogna nutre la paura, ma spesso giudichiamo il fatto stesso di aver paura come se fosse la prova della nostra inadeguatezza. Nella trance di paura e vergogna ci sentiamo solo sbagliati. Nessuna altra esperienza di noi stessi sembra più disponibile, o vera. Ho paura, e ancora di più ho paura della paura. E sono sbagliata perché ho paura. Non dovrei sentire quello che sento.
In più, solitamente in questa situazione ciò che accade è che andiamo a chiamare il nostro giudice interiore perché ci dica cosa fare, iniziando il doloroso viaggio discendente dell’attacco, ma di questo parleremo in un altro momento.
La chiave per trasformare questa trance, per liberarci millimetro per millimetro dalla sua stretta, è diventarne consapevoli. Prendere coscienza di tutte le nostre strategie, storie, reazioni fisiche e sensazioni, ed espandere gentilmente la capacità di rimanere presenti togliendo di mezzo lo sforzo di mostrarci forti e il giudizio su come dovremmo essere.
Non è facile. Dietro ci sono anni di condizionamenti e la spinta della sopravvivenza, nemica giurata del cambiamento, ma è possibile. E necessario, se stanchi di sopravvivere vogliamo vivere pienamente la nostra esistenza.
Ogni volta che riusciamo a rimanere presenti, dandoci il permesso di sentire la paura, o la vergogna, l’emozione del momento così com’è, ascoltandola nel corpo anziché cercare di risolverla nella testa, la potenza della trance diminuisce, il sistema nervoso recupera e aumenta la propria resilienza, i corto-circuiti neurali alla base della risposta somatica automatica vengono lentamente deprogrammati.
Spesso, per riuscire a fare questo, è necessario darci del tempo per imparare a conoscere e costruire le nostre risorse, ed un senso interiore di “essere al sicuro”. Con Kabat-Zinn possiamo dire che darmi tempo, ampliare le mie risorse e la resilienza del sistema nervoso non è una buona idea. È una pratica. Devo farlo, e scegliere ogni volta possibile di farlo. Tante sono le porte di accesso, quelle che io uso sono il mindful counseling, la meditazione, il rilassamento, e ce ne sono tante altre. Ma l’importante è scegliere quella che sento più adatta a me, e usarla.
Nel caso di traumi questo può richiedere davvero del tempo, ed un lavoro specifico di rilassamento graduale.
Alcuni anni fa sono sopravvissuta ad un incidente stradale molto grave. Dopo, per molto tempo, non riuscivo più a meditare. A fermare deliberatamente l’attenzione, e ad ascoltarmi in quel modo
che per me era così familiare ed importante. Era molto frustrante per me, eppure il mio sistema nervoso rifiutava quello
stato. Troppo pericoloso abbandonare l’allerta, anche solo per un attimo.
Piano piano ho capito e accettato che le risorse di sopravvivenza del mio corpo e di tutti i suoi sistemi, ormonale, nervoso, ecc… attivate all’estremo, avevano bisogno di tempo per ricostruire un senso minimo di sicurezza, che per massima parte era al di fuori dal mio controllo. La trance mi faceva percepire pericolo ovunque, e a questo il mio sistema reagiva. L’unica cosa che potevo fare era respirare, accogliere la paura, e cercare di rilassare il corpo, dove riuscivo. Alcuni muscoli volontari rispondevano all’invito, altri, come il diaframma, non hanno mollato che poco tempo fa. Credo che sia stato importante anche non giudicarmi per questo. Il “come, io che insegno alla gente a meditare non ci riesco?!?” era un pensiero invitante, e spesso in agguato. Ma per fortuna sono riuscita il più delle volte a lasciarlo andar via, bruciato nella gratitudine provata verso il mio corpo che recuperava così bene. Che guariva, e tornava alla vita.
Comunque per tutti noi, più o meno traumatizzati, c’è un profondo condizionamento a fuggire automaticamente dal contatto con la paura. E questo evitamento è proprio ciò che rinforza la trance. Coltivando attraverso la meditazione e l’ascolto del corpo compassione, consapevolezza e volontà possiamo imparare ad accogliere, affrontare e superare la paura. Possiamo arrivare a scoprire che la trance non ha nessun collegamento con la realtà delle circostanze che ci spaventano, e che possiamo rimanere presenti anche nelle situazioni più ostili. Che la paura è una cosa, ma la trance della paura è un’altra, ed è quest’ultima che rende tutto spaventoso difficile e avverso.
Tanti anni fa, parlandomi della sua vita e delle scelte che aveva fatto, mio padre mi disse :”…e poi ho capito che non c’era niente di cui aver paura”. Ho ricordato spesso questa frase, che sento ogni giorno più vera. La paura non è finita, o scomparsa, ma posso relazionarmi con la mia paura come un’emozione vitale che sorge automaticamente, anziché temerla. Posso non aver paura della paura, ma accoglierla. E accogliere la parte di me che ha paura. Integrandola, accettandola, le tolgo potere e allo stesso tempo le permetto di guarire, dando a me stessa la possibilità di crescerle intorno, espandendo i miei confini e i miei limiti. E liberandomi dalla trance posso esplorare quell’altra preziosa faccia della paura, il desiderio….
Ormai sappiamo tutti che il corpo non mente. Che in ogni cellula conserviamo memorie personali, familiari, secondo gli ultimi studi di epigenetica addirittua risalenti fino a quattro generazioni dietro di noi. A volte una valigia pesante, a volte un vero fardello...
Eppure prestando attenzione al modo come respiriamo, all’organizzazione del corpo, agli schemi di movimento, alle tensioni croniche o a quei dolori così familiari che ci sembrano ormai parte di noi possiamo aprirci alla relazione con le nostre emozioni e con il modo come ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri. Possiamo portare la luce della consapevolezza e della guarigione davvero in profondità.
Una parte del lavoro di Mindful Counseling è dedicato proprio all’esplorazione del corpo e del suo linguaggio, e alla trasformazione di ciò che ci allontana dal momento presente, partendo proprio dal piano fisico. In questo lavoro l’approccio sarà sia verbale che corporeo ed utilizzeremo il dialogo e alcuni tipi di tecniche fisiche, di meditazione, di ascolto, di attenzione consapevole, che hanno la funzione di esplorare ed eventualmente modificare i modelli del respiro, dell’organizzazione muscolare e dello schema corporeo al fine di realizzare un sempre maggiore benessere, ed una sempre maggiore presenza.
La tecnica elettiva è quella della consapevolezza, e si lavora in modo tale che la persona possa osservarsi nelle proprie diverse manifestazioni, comprendendo come tanti vissuti corporei si sono formati e cosa ci chiedono. Di quali bisogni inascoltati si fanno portavoce. Attraverso l’apertura al corpo e del corpo ci si adopera per scoprire il contesto originario dell’emozione che si presenta, e con la consapevolezza del qui ed ora e un necessario atteggiamento empatico e sensibile, potremo esplorare, confrontarci, accogliere e magari trasformare ciò che il corpo racconta. Spiegare le nostre ali, anche se per tutta la vita ci sono sembrate solo delle orecchie troppo grandi....
Scrivimi se vuoi informazioni, e raccontami dove sei nel tuo viaggio nel corpo, se ti va.
A presto
Ilaria
Come parlare a tua figlia del suo corpo? Come far sì che non debba portarsi in giro per il mondo il peso delle nostre ferite, del nostro disamore e quello delle nostre madri, nonne, antenate? Come rompere la catena di vergogna incisa sul corpo delle donne, troppo spesso rifiutato perché mai abbastanza giusto, perfetto, bello?
isplendi"?!
Meglio ancora, complimentati con lei per qualcosa che non abbia nulla a che vedere con il suo corpo. Non commentare neppure i corpi di altre donne. No, neanche un singolo commento, né buono né cattivo.
Insegnale la gentilezza verso gli altri, ma anche verso di te, e di
sé. Non parlare di quanto non ti piaccia il tuo corpo davanti a tua figlia, o della tua nuova dieta. Anzi, non fare nessuna dieta davanti a tua figlia. Compra cibo sano. Cucina
pasti sani. Ma non dire "Ora non mangerò più carboidrati." Tua figlia non dovrebbe mai pensare che i carboidrati siano un male, perché gettare una vergogna sul cibo equivale a gettarla su te
stessa.
Incoraggia tua figlia a correre perché la farà sentire meno stressata. Incoraggiala a scalare montagne perché non c'è posto migliore per esplorare la spiritualità
del picco dell'universo. Incoraggia tua figlia a fare surf o scalata o mountain bike, perché quelle cose la spaventano e a volte è anche una
buona cosa.
Aiuta tua figlia ad amare il calcio o il canottaggio o l'hockey, perché gli sport la renderanno una leader migliore e una donna più sicura di sé. Spiegale che non
importa quanto vecchia tu sia, non smetterai mai di avere bisogno di un buon lavoro di squadra. Non farle mai fare uno sport che non le piace affatto.
Dimostra a tua figlia che le donne non hanno bisogno di uomini per spostare i loro
mobili. Insegnale a cucinare vegetariano. Insegnale a sfornare dolci di cioccolato con mezzo panetto di burro. Passale la ricetta della nonna per fare il dolce per la colazione
di Natale. Trasmettile il tuo amore per l'aria aperta.
Forse sia tu che tua figlia avete le gambe tornite o il torace ampio. È facile odiare queste parti del corpo se non sono sottili. Ma non farlo. Insegna a tua figlia
che con le sue gambe può correre una maratona se vuole, e che il suo torace non è altro se non un contenitore per dei polmoni forti. Può urlare e cantare e sollevare il mondo, se
vuole. Ricorda a tua figlia che la cosa migliore che possa fare con il suo corpo è usarlo per trasportare la sua
bellissima anima".
Raccontami la tua esperienza se ti va, il tuo corpo, il tuo incontro con te....
Uno dei nodi più difficili che mi trovo ad affrontare con chi si rivolge a me per un percorso di crescita personale è quello della scelta. Quel momento in cui si comincia a vedere, e a volte pian piano ad accettare, che in ciò che ci accade c'è sempre una gran parte di scelta.
Personalmente non credo che possiamo scegliere cosa far accadere, se non su piani lontani dalla mente ordinaria, ma so che abbiamo tutto il potere di scelta su come porci davanti a ciò che accade. Come reagire, chi scegliere di essere, anche di fronte agli eventi più difficili o pesanti. Possiamo sempre scegliere a quale voce in noi dare ascolto e spazio, se alla vittima o al cuore, all'odio o all'accogliere.... Non è facile, è vero. Ma è possibile. Ed è il potere più grande che abbiamo per trasformare il mondo, e la nostra vita.
Raccontami le tue scelte, se ti va...
La scelta è mia
Scelgo di vivere per scelta, e non per caso.
Scelgo di fare dei cambiamenti, anzichè avere delle scuse.
Scelgo di essere motivato, non manipolato.
Scelgo di essere utile, non usato.
Scelgo l’autostima, non l’autocommiserazione.
Scelgo di eccellere, non di competere.
Scelgo di ascoltare la voce interiore, e non l’opinione casuale della gente.
La scelta è mia e scelgo di arrendermi al volere della mente Divina, poichè nell’arrendermi sono vittorioso.
Eileen Caddy
Rescue Remedy è un rimedio di pronto soccorso, da portare sempre con sé, prezioso nelle situazioni in cui un avvenimento sgradevole e imprevisto scombussola del tutto l’individuo sul piano psico-energetico. Completamente atossico, non provoca assuefazione e non ha effetti collaterali...
.Rescue Remedy (Rimedio d’emergenza)
Condizione che sviluppa, armonizza o risveglia: Presenza di spirito
Uso e applicazioni
Molte sono le applicazioni di questo rimedio,l’unico composto ideato da Edward
Bach stesso per rispondere agli stati acuti di emergenza emotiva, e per stimolare la capacità di autoguarigione.
È un rimedio composto da 5 fiori:
* Cherry plum per non perdere il controllo
* Clematis per mantenere la presenza
* Impatiens per lo stato di agitazione
* Rock rose per il panico
* Star of Betlehem per i traumi fisici e mentali
Può essere usato in tutti i casi di choc fisico, psichico, emotivo, in momenti di crisi o di difficoltà acuta, per superare o prevenire situazioni in cui l’ansia e lo stress potrebbero prendere il sopravvento come brutte notizie, incidenti, scadenze, lutti, interventi chirurgici, forti spaventi.
Aiuta a mantenere integra la persona, a contenere ed equilibrare le emozioni e lo stress; lavora anche sul passato o aiuta a prepararsi ad un evento prossimo, ritenuto potenzialmente allarmante.
Rescue Remedy è un rimedio di pronto soccorso, da portare sempre con sé, prezioso nelle situazioni in cui un avvenimento sgradevole e imprevisto scombussola del tutto l’individuo sul piano psico-energetico. Completamente atossico, non provoca assuefazione e non ha effetti collaterali. Non deve in ogni caso sostituire le cure mediche. In situazioni gravi è indispensabile chiamare subito un medico, ma prima dell'arrivo dei soccorsi il rimedio può essere di grande aiuto nel ristabilire l'equilibrio emotivo, esercitando un effetto calmante e stabilizzante. Può essere utilizzato da solo o in combinazione con altri fiori.
Risulta molto utile in caso di ansia, paura, stress e traumi fisici o psichici di diversa natura: svenimenti, disorientamento, incidenti, confusione mentale, "crisi di coscienza", cadute, contusioni, slogature, ferite, ustioni. Oppure semplici capogiri, sensazioni di tipo ansioso, o panico. Aiuta anche a contenere la reazione violenta e angosciata a ciò che accade; riduce lo stress causato da malattie, lutti, spaventi improvvisi.
Sul piano fisico può aiutare in caso di febbre alta, convulsioni, choc fisici e psicologici, disturbi locomotori in sportivi provati dallo sforzo, attacchi d’asma attivati da collera, oppure in crisi d’astinenza da psicofarmaci, fumoo alcol. E' utile per i malati e le persone a loro vicine, e per sostenere i bambini in caso di malattie esantematiche. Ricordiamo nuovamente che il rimedio non è un farmaco, non sostituisce neanche in parte l’intervento di un medico e la terapia necessaria, ma agisce sul piano emotivo e spirituale, "sottile", aiutandoci ad affrontare meglio ciò che accade.
Si può prendere anche prima di affrontare qualcosa di impegnativo o delle situazioni considerate difficili, per aiutarci a ridurre l'ansia e lo stress. Anche situazioni di tensione più quotidiane come il dover affrontare discussioni animate, sostenere degli esami, tenere un discorso o una conferenza, o sottoporsi ad un colloquio di lavoro, vengono decisamente facilitate.
Si usa anche in forma di crema neutra, omeopatica, antiallergica e antiabrasiva (il nome commerciale è "Rescue® Cream", che contiene anche l'essenza Crab Apple, molto utile per la pelle) per contusioni accompagnate da gonfiori, eruzioni, ferite da taglio, lievi scottature, articolazioni dolenti, contrazioni muscolari, abrasioni, distorsioni, bruciature, ematomi, slogature, graffiature, punture d’insetti, emorroidi, infiammazioni non gravi.
La sua applicazione diretta ha dato buoni risultati anche quando applicato su tagli non troppo estesi o profondi, come si è dimostrato molto efficace nel ridurre la rigidità muscolare, applicandola massaggiando delicatamente sull'area interessata o stendendola su un lembo di garza nel caso di ferite o abrasioni.
Bambini
Il trattamento con i fiori di Bach è estremamente utile per i bambini, ma richiede un approfondimento e una specificità trattati altrove.
L’uso del rescue remedy comunque, può essere consigliato in caso di incidente improvviso o traumatismo, se cade e scoppia in lacrime, quando è spaventato, ecc.
Molto utile anche se preso insieme, sia il genitore che il bambino, nei casi in cui la pazienza sta per esaurirsi....
In ogni caso è indispensabile rivolgersi al pediatra e ad un esperto di Fiori di Bach.
Animali
Anche per gli animali Rescue Remedy può offrire grande beneficio.
Per cani e gatti possono essere utilizzate le stesse dosi consigliate da Bach per gli esseri umani, 4 gocce nell’acqua 4 volte al giorno oppure a distanza ravvicinata in casi intensi; criceti e canarini metà dose, 2 gocce, invece cavalli, mucche ed asini, 10 gocce in un secchio d'acqua. Si può ripetere anche ogni 15 minuti se necessario. Le gocce si mischiano nell'acqua o nel cibo dell'animale. Se traumatizzati o in stato di incoscienza il rimedio può essere utilizzato direttamente diluendo il concentrato in poca acqua o strofinandolo sulla bocca o all'interno di essa, o sul becco, dietro le orecchie o su altre parti molli del corpo. Si può anche stendere la pomata sulla parte lesa.
Piante
Ricercatori come Cleve Backster, come viene riportato nel libro "La vita Segreta delle piante" di Peter Tompkins e Christopher Bird, hanno dimostrato che le piante vengono colpite dagli stimoli ambientali, e che esistono interrelazione tra esse ed altre forme di vita. Non sorprende quindi sapere che il Rescue Remedy sia stato impiegato anche per alleviare traumi durante trapianti botanici, su fiori recisi o su alberi che avessero subito gravi danni. Una goccia ogni litro, disciolte in acqua di annaffiatoio versate o nebulizzate o spruzzate sulle foglie, con regolare applicazione ogni giorno o a giorni alterni, aiuteranno a ridurre lo shock di cui la pianta può soffrire e contribuiranno a rivitalizzarla.
Negli orti l'aggiunta di 5 o 10 gocce di Rescue all'acqua utilizzata per innaffiare al momento in cui vengono piantati i semi o nella fase di maturazione, aiuta a migliorare i raccolti.
In generale comunque, tutte le piante reagiscono in modo sorprendente alle energie armoniche dei Fiori di Bach. Di norma è sufficiente versare alcune gocce di Rescue Remedy nell'acqua, per esempio dopo un trasloco, dopo un travaso, in seguito ad una caduta, dopo un temporale, ecc. Sembra anche che le piante da appartamento beneficino della combinazione di fiori assunta dal loro proprietario. Così, i resti delle nostre vecchie combinazioni, invece di buttarli, li possiamo versare nell'acqua per innaffiare....
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Vibrazione cromatica abbinata al Rescue
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Ci sono molti modi di usare i fiori, e di insegnare ad usarli. In questi anni di pratica con le essenze e di lavoro di counseling, ho avuto modo di studiare e sperimentare l’approccio classico di Bach e poi...
Quello di diversi autori, tra cui Kraemer, Scheffer, Orozco, fino a trovare una sintesi personale che propongo ai clienti nei percorsi di crescita personale, e agli allievi nei corsi di formazione.
Nel primo livello del percorso, come della formazione, si segue tendenzialmente l’approccio sintomatico, ovvero quella secondo cui ad un certo sintomo si risponde con un certo fiore. La persona ci parla di ciò che la disturba, nel corpo o nell’animo, e in base a questo scegliamo quale essenza proporre.
In questo caso la scelta del fiore è semplice, immediata, e anche il fiore lavora in modo diretto: allevia il disturbo, il fastidio, e/o dà sollievo all’emozione del momento. Con l’esperienza ho visto come partire da qui permette alla persona di aprirsi con maggiore fiducia al lavoro dei fiori e alla possibilità di un percorso di crescita personale e di riequilibrio più articolato e profondo.
Nel secondo livello della formazione, infatti, cominciamo a riflettere su come impostare un percorso di crescita e consapevolezza nostro e del nostro cliente, che porti alla soluzione dei disturbi e dei fastidi attraverso una comprensione più profonda del loro messaggio.
Cominciamo a guardare come funziona la nostra mente attraverso lo strumento dell’analisi transazionale, e introduciamo la comprensione di come alle volte si creino conflitti tra questa e il percorso evolutivo della nostra anima.
L’anima tende naturalmente verso la realizzazione, l’espansione, l’uno, mentre la mente verso la sopravvivenza, la conservazione, il due, ecc... Questi conflitti, qui grandemente semplificati, generano disarmonia e sofferenza, e questa sofferenza si manifesta nella nostra vita a diversi livelli.
In questa dimensione il lavoro con i fiori “cambia direzione”: non più solo il fiore individuato per l’aspetto disarmonico manifestato nella vita, ma anche e soprattutto la ricerca delle risorse che sostengono l’evoluzione. Da questo livello prendono molta importanza le intenzioni e, appunto, la consapevolezza delle risorse.
Lavorando con le risorse e le intenzioni noi invitiamo la composizione e lo scioglimento di questi conflitti attraverso la realizzazione di una comprensione più ampia e di un…..”allargarsi” della nostra coscienza. Appropriarci delle nostre risorse, riscoprirle o recuperarle ci permette di scegliere sempre di più, ci permette di essere pienamente, e di essere sempre più liberi.
Le risorse che i fiori ci offrono altro non sono che uno specchio delle nostre…. non sono flaconcini magici di fiducia o capacità o amore o efficienza, ma piuttosto “attivatori” che ci ricordano che dentro di noi c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
E qui arriviamo ad un punto importante. Dobbiamo ricordare e comprendere che le risorse impariamo a tirarle fuori, e ci rammentiamo di averle, quando ne abbiamo bisogno, quando sono necessarie, quando la questione diventa nuotare o affogare.... quando ci sentiamo in un certo senso costretti.
Ci sono volte in cui qualcosa è già lì pronto a sbocciare, e allora basta nulla per farlo fiorire, ma altre volte queste risorse che i fiori ci rispecchiano sono sepolte sotto ferite, resistenze, paure, blocchi, storie e dolori di ogni tipo, per cui ritirarle fuori può apparire come un viaggio doloroso proprio attraverso quelle ferite, quei dolori, quelle resistenze. E allora i fiori sembrano attivare proprio tutto questo, come un faro che all’improvviso illumina demoni da tempo sopiti, che si svegliano e ricominciano a mordere.
In questo senso possiamo usare i fiori come una “mappa” che ci guida all’ascolto e alla consapevolezza delle nostre emozioni, sostenendoci finalmente nella possibilità di rimanere in contatto con l’emozione presente, figlia spesso di un vissuto antico, dolore lontano incistato nel corpo e nell’intero sistema, aiutandoci a stare lì in ascolto, presenti, fino alla naturale trasformazione e scioglimento del vissuto stesso.
L’altro importante ingrediente di questo approccio sono le intenzioni.
Il formulare un’ intenzione è un segnale molto forte che noi lanciamo, dicendo all'universo: ok, voglio guarire questa cosa, o impararla, o farle posto nella mia vita. Il sottinteso, che dimentichiamo di dire, ma che non dimentica di essere presente nel campo è: sono pronta ad affrontare ciò che mi impedisce di ricordare che sono tutt’uno con il tutto, con l’essere, e dunque anche con ciò che ora percepisco come separato da me. L’intenzione convoglia l’energia dandole una precisa direzione, e mi permette, che ne sia consapevole o meno, di allinearmi con il suo flusso portandomi proprio dove ho bisogno di andare per risolvere quel sintomo, ovvero per abbandonare l’illusione della separazione.
Quindi componendo il bouquet di una boccettina, e dandole un nome (ovvero, appunto un’intenzione/direzione), accendo un forte riflettore, e a volte spalanco una porta sulle mie ferite, sui miei buchi, su quegli aspetti di me dove ho perso contatto con la mia essenza. A volte questo è difficile e doloroso, a volte invece semplicemente scivola dolcemente, dipende da quanto in profondità siamo disposti ad andare o a lasciar andare.
A questo punto solitamente lavoriamo con i fiori centrali, i 12 guaritori, portatori del messaggio più sottile e profondo, ma a volte troppo lontano dalla coscienza o negato perché la persona possa iniziare da qui il proprio viaggio.
Nel terzo livello della formazione l’enfasi viene posta sulla dimensione energetica, e sul lavoro dei fiori sui corpi sottili e sul riequilibrio dei chakra, mentre nel quarto tutti questi elementi vengono ricomposti in una visione unitaria.
Scrivetemi se volete saperne di più.
Sperando di incrociare i nostri sentieri vi abbraccio, e vi mando un fascio di wild oat, che come il vento di maestrale ci porti tutti verso Casa.
Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare dell'interruzione un nuovo cammino, della caduta un passo di danza, della paura una scala, del sogno un ponte, del bisogno un incontro.
Fernando Pessoa
Aprire il cuore alla vita, alla gioia...
Forse vuol dire fermarmi un giorno e chiedermi "Ma io cosa ci faccio al mondo? Ma io...chi sono?"
Forse vuol dire cominciare da qui la ricerca di qualcosa che apre mille universi, in un gioco di scatole cinesi che tendono verso l'infinito.
Vuol dire iniziare a desiderare, a sentire le vibrazioni di una lontana e sorda nostalgia, un anelito senza nome che brucia come una fiamma nel petto e nell'anima.
Vuol dire riconoscere che manca un pezzo dentro l'anima per sentirmi davvero figlia dell'universo. O che forse non manca proprio nulla, ma che a volte non ricordo la strada, il cassetto dentro cui l'ho nascosto, quel pezzetto.
Aprire il cuore vuol dire partire per la caccia al tesoro.
E magari il tesoro sono io, sei tu.
Vuol dire far caso a quei messaggi, quelle coincidenze, quegli uccellini che cinguettano sulla spalla lasciandomi stupita ad osservare un altro mondo che si svela dietro a quel minuscolo momento.
Vuol dire mettermi in cammino verso una nuova strada, la strada di Casa.
Vuol dire sedermi su un prato e guardarmi intorno nel silenzio...
Vuol dire sdraiarmi sulla riva del mare e accompagnare le onde con il mio respiro.
Vuol dire sorridere quando incontro la mia ombra, la parte oscura di me, quella che poi rischiarerà la mia esistenza.
Vuol dire liberare quella risata che finalmente sommerge il mondo, e lo ricrea pulito e leggero.
Vuol dire sentirmi improvvisamente diversa, desiderare la libertà per chi amo perché ho scoperto e ricordato di essere libera.
Libera e viva.
Aprire il cuore vuol dire non guardare indiero e non guardare avanti, ma lasciarmi essere nell'istante, questo dono immenso della vita.
Godere di quest'attimo nella sua assoluta perfezione.
Aprire il cuore vuol dire afferrare coi denti la propria anima e affidarsi a lei, vada come vada...
Vuol dire arrendermi alla forza immensa della vita.
Vuol dire credere nell'esistenza dei miracoli, che ogni giorno creiamo senza rendercene conto.
E aprendo il cuore alla vita, la vita ci risponde aprendo al nostro cuore le porte dell'infinito che abbiamo dentro.
E per te, cosa vuol dire?
"La mia vita è stata un cammino al bordo dell'incertezza. Oggi educhiamo i bambini affinchè si sentano comodi in una sedia. Hai il tuo lavoro, hai la tua piccola auto, hai una casa dove dormire ma i tuoi sogni sono morti. Non si cresce in un cammino sicuro. Tutti dobbiamo conquistare qualcosa nella vita e c'è bisogno di tanta fatica e di tanto rischio, perchè per crescere e migliorare devi stare lì qualche volta, al bordo dell'incertezza."
Francis Mallmann, cuoco vagabondo argentino
Se esaminiamo onestamente le nostre giornate, è molto comune passare la gran parte del tempo in modalità pilota automatico. Facciamo continuamente piani, cerchiamo di programmare il futuro e di soddisfare tutte le voci della nostra lista di cose da fare.
Lista che peraltro noi stessi abbiamo compilato, e che per qualche misterioso motivo si infittisce di giorno in giorno, finché non ci resta neanche un secondo libero per guardare il cielo, e finché anche il tempo in coda al semaforo è ottimizzato controllando la posta o fb.
Siamo costantemente occupati ad affrettarci verso il futuro, a correre verso qualche misterioso momento finalmente soddisfacente, o felice, sempre lontano da adesso, e ci perdiamo la nostra vita. L’esperienza diretta di questa vita qua. La nostra.
In questi giorni questa consapevolezza peraltro ovvia mi ha quasi colta alla sprovvista: la mia vita è proprio questa qui, questo presente fatto di lavoro, casa, famiglia, e questo non è un transito verso la destinazione finale, illuminazione o piena realizzazione che sia. È qui, è ora, è questo respiro, questa sonnolenza di oggi, il rumore delle auto che passano in lontananza, mia figlia in cucina che gioca.
Eckhart Tolle ne “Il potere di adesso” dice: ”La gran parte della gente tratta il momento presente come se fosse un ostacolo da superare. Dal momento che il momento presente è la Vita stessa, questo è un modo folle di vivere”.
E in questo momento mi accorgo di quanto sia vero anche adesso, anche per me che faccio della Presenza la chiave del mio mestiere. Questa sonnolenza che mi fa andar piano la giudico un ostacolo, così come mi giudico perché non sono di là a giocare con lei, e anche sotto sotto vorrei essere altrove per lavorare senza essere distratta dal suo orsacchiotto che ha bisogno immediato di cure perché è caduto dalla sedia.
Quante volte ci succede di dire più o meno consciamente di no al momento presente? O quante volte diciamo davvero si?
Quante volte ci succede di arrivare da qualche parte senza minimamente ricordare di aver fatto il tragitto? O di aver atteso tanto un evento di cui, appena trascorso, ci accorgiamo di non aver percepito il gusto, come se non fossimo davvero stati li, ma persi in altri pensieri, o paragoni, o giudizi?
Le nostre giornate sono piene di cose che vogliono la priorità, anche molto semplici e banali, guidare, mangiare, fare la spesa, cose che viviamo appunto come ostacoli, ma che sono la nostra vita. Il nostro presente. C’è un modo per trovare li la gioia, così da poter arrivare ad assaporare la gioia dell’Adesso?
Raccontami il tuo modo, se ti va...
In questi giorni di passaggio tra una stagione e l'altra, insieme alle nuvole, al vento che si fa più freddo e agli abiti che si stratificano arriva per me una domanda che non mi lascia: cos'è la gioia? Dov'è, nelle nostre vite di rincorsa in cui il momento presente sembra un ostacolo da superare per raggiungere chissà cosa?
Proprio la gioia, non la felicità. Quel sentimento di leggerezza nel cuore e nel passo che provo quando sono presente, totalmente immersa in ciò che è. Che non ha niente a che fare con ciò che accade fuori di me, ma illumina da dentro il mio sorriso.
Mi accorgo che dopo l'estate faccio fatica a riprendere il ritmo della città, degli impegni e del "portare a casa la giornata". Ho voglia di guardare le nuvole correre, di stare sul divano a leggere fiabe, di disegnare. Ma qualcosa in me si irrigidisce dicendomi che c'è così tanto da fare, che devo muovermi, e fare.
Ma la gioia dov'è quando corro dietro al mondo? Quando facciofacciofaccio per non sentire questa voce imperiosa e giudicante? Sparisce, o meglio, la dimentico. Distratta da mille stimoli e richieste, mi dimentico. Mi dimentico di me, e di lei.
Allora mi accorgo che per aprirmi alla gioia devo prima di tutto ricordarmela. Si, ricordarmi quanto è importante per me, e quanto è diverso attraversare lieve la mia giornata o trascinarmela faticosamente fino a sera. Perché ho visto che quello che fa la differenza per me non è ciò che accade, cosa devo o non posso fare quel giorno, ma proprio il mio sentirmi nel flusso. In armonia con ciò che c'è.
Dopo essermi ricordata, parte la ricerca. Ascolto, chiedo, indago. Mi accorgo che per tanti adulti è diventata una specie di miraggio, una di quelle cose che a un certo punto ti dicono che non esiste e se sei abbastanza grande devi far finta di non rimanerci male, tipo babbo natale.
Oppure per qualcuno è un lutto, un gran dolore averla perduta e non ritrovare più la strada.
Tengo accanto a me questa presenza, e mi accorgo che scegliere la gioia come bussola e timone è ciò che voglio.
Provo, davanti ad una scelta, a chiedermi quale delle due opzioni mi da gioia, e scopro che spesso per accettarla devo togliere tanti strati di paura, e liberare la mente dal rimuginio, dal giudizio e dal confronto.
Mettere a tacere il mio implacabile giudice interiore pronto a scovare un dramma in ogni attimo.
Un'altra scelta.
E sento come poter scegliere, darmi la possibilità di vedere anche altre strade, mi alleggerisce il cuore e le spalle, e mi accorgo che sto sorridendo...
E per te, com'è?
Hai mai fatto l'esperienza di fermarti del tutto,
di essere così totalmente nel tuo corpo,
di essere così totalmente nella tua vita
che quel che già sapevi e quello che non sai,
e quel ch'è stato, e quel che ancora dev'essere,
e le cose come stanno proprio ora
non ti danno neanche un filo d'ansia, o disaccordo?
Sarebbe un momento di presenza totale,
al di là della lotta, al di là della mera accettazione,
al di là della voglia di scappare, o di sistemar le cose
o tuffarcisi dentro a testa bassa:
un momento di puro essere, fuori dal tempo, un momento di pura vista, pura percezione, un momento in cui la vita si limita ad essere, e quell'"essere" ti prende, ti afferra con tutti i sensi, tutti i ricordi, fin dentro i geni, in ciò che più ami,
e ti dice:" bentornato a casa".
j. Kabat-Zinn
Non mi interessa che cosa fai per vivere; voglio
sapere che cosa ti fa spasimare e se osi sognare
di andare incontro all’anelito del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai; voglio sapere
se rischieresti di passare per stupida per amore,
per un sogno, per l’avventura di essere viva.
Non mi interessa quali pianeti siano in
quadratura con la tua luna. Voglio sapere se hai
toccato il centro del tuo dispiacere, se i
tradimenti di una vita ti hanno aperta oppure ti
hanno raggrinzita e chiusa per paura di altro dolore.
Voglio sapere se riesci a sederti con la
sofferenza, la mia o la tua, senza muoverti per
nasconderla, né per sedarla, né per mandarla via.
Voglio sapere se riesci a stare con la gioia, la
mia o la tua, se riesci a ballare selvaggiamente
lasciando che l’estasi ti riempia fino alle
estremità delle dita delle mani e dei piedi senza
ricordarci di stare attenti, o di essere
realistici, né per rammentarci i limiti
dell’essere umano.
Non mi interessa se la storia che mi stai
raccontado è vera. Voglio sapere se riesci a
deludere un altro pur di essere sincera con te
stessa. Se riesci a sopportare l’accusa di
tradimento senza tradire la tua anima. Se riesci
a essere senza fede e perciò degna di fede.
Voglio sapere se riesci a vedere ogni giorno la
bellezza anche quando non è pittorica; e se
riesci a far scaturire la tua vita dalla sua
presenza.
Voglio sapere se riesci a vivere col fallimento,
il tuo e e il mio, e tuttavia, sul bordo del
lago, a gridare al plenilunio d’argento il tuo
«Sì!».
Non mi interessa sapere dove vivi o quanti soldi
hai. Voglio sapere se riesci ad alzarti dopo una
notte di dolore e di disperazione stanca e con le
ossa a pezzi e a fare ciò che va fatto per dar da
mangiare ai bambini.
Non mi interessa ciò che sai né come sei giunta
qui. Voglio sapere se starai nel centro del fuoco
con me senza tirarti indietro.
Non mi interessa dove o che cosa o con chi hai
studiato. Voglio sapere che cosa ti sostiene da
dentro quando tutto il resto crolla.
Voglio sapere se riesci a stare sola con te
stessa e se ti piace davvero la compagnia che ti
fai nei momenti vuoti.
Oriah Mountain Dreamer, "L'invito"
È assurdo
dice la ragione
È quel che è
dice l'amore
È infelicità
dice il calcolo
Non è altro che dolore
dice la paura
È vano
dice il giudizio
È quel che è
dice l'amore
È ridicolo
dice l'orgoglio
È avventato
dice la prudenza
È impossibile
dice l'esperienza
È quel che è
dice l'amore
"È quel che è" di Erich Fried
Cammino per la strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
Ci cado.
Sono perso… Sono impotente.
Non è colpa mia.
Ci vorrà un’eternità per trovare come uscirne.
Cammino per la stessa strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
Fingo di non vederla.
Ci ricado.
Non riesco a credere di essere in quello stesso posto.
Ma non è colpa mia.
Ci vuole ancora molto tempo per uscirne.
Cammino per la strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
Vedo che c’è.
Ci cado ancora… è un’abitudine.
I miei occhi sono aperti.
So dove sono.
È colpa mia.
Ne esco immediatamente.
Cammino per la strada.
C’è una profonda buca nel marciapiede.
La aggiro.
Cammino per un’altra strada.
"Autobiografia" di Portia Nelson