IL TABU DEL CONFLITTO, IL TRIONFO DELLA VIOLENZA
Di questi tempi il confronto o il conflitto sembrano diventati tabù collettivi. Le divergenze di opinioni o il confronto dialettico sono scomparsi, apparentemente, dalle relazioni e dalle amicizie, dagli incontri. Se non siamo d'accordo, se la pensi diversamente, il confronto diventa personale, si passa direttamente agli insulti, ci si lascia, ci si giudica. Conflitto è immediatamente violenza. verbale, fisica, o emotiva poco importa.
Ma cos'è che ci rende così reattivi?
Come mai la discussione, il confronto, anche la dialettica se vogliamo sono diventati così impopolari?
Certo le ragioni sono tante, complesse, ma forse una delle radici sta anche nella rimozione collettiva delle emozioni più dense, e nella moda del pensiero positivo.
È proprio vero che le emozioni, specie quelle cosiddette negative, vanno nascoste o rimosse con un sorriso? Il pensiero positivo funziona? Forse no. Recenti studi dimostrano che sentire, permettere anche i nostri lati ombra, accoglierli è ciò che ci fa davvero crescere e stare meglio. La sfida è imparare ad esprimerli anziché agirli contro gli altri o contro noi stessi.
La scienza oggi dimostra le conseguenze adattative degli stati d’animo spesso considerati negativi. Ci fa capire che sentirsi tristi o arrabbiati è essenziale per il nostro benessere psicologico. Ad esempio, è stato visto che la tristezza aiuta la memoria, incrementa la motivazione, smuove empatia e che la nostalgia aiuta a dare continuità al nostro percorso, un senso a ciò che abbiamo vissuto, o che la rabbia svolge funzioni di difesa, se gestita. Ma soprattutto è emersa l’importanza di esprimere e riconoscere l’intera gamma delle emozioni. Accettarle. Accoglierle. Non esserne spaventati, non rifuggirle, non cercare di ricacciarle. Facendo della vulnerabilità la chiave della nostra autenticità, e delle avversità occasioni di rinascita.
Boris Cyrulnik in "Di carne e d'anima" parla diffusamente della vulnerabilità come risorsa per vivere felici, e del dolore, della perdita, delle ferite emozionali come ingrediente fondamentale per la maturazione affettiva e psicologica.
La scienza sta dimostrando quanto questo sia vero, e ampliando gli studi sulle emozioni, scopriamo quanto soprattutto quelle più "difficili" siano essenziali.
NON EVITARE LE EMOZIONI "NEGATIVE"
Gli studi dicono che il tentativo di sopprimere pensieri e sentimenti negativi è controproducente. Perché provare a bypassare le emozioni dolorose aggirandole con sorrisi e pensiero positivo è come tagliare parte di ciò che siamo, rifiutare la complessità, e il disordine se vogliamo, della nostra vita profonda. Quella vera.
Il senso delle emozioni è aiutarci a comprendere gli eventi, valutare le nostre esperienze per poi adattarci e crescere.
Quindi sentirle, riconoscerle, attraversarle ed elaborarle è fondamentale per il nostro benessere.
I cosiddetti sentimenti “cattivi”, che vorremmo scrollarci di dosso come sabbia, hanno un prezioso valore di sopravvivenza. Ci segnalano problemi di relazione con l'altro o di rapporto con noi stessi. Il dolore non è mai insignificante perché parla di noi, ci dice che qualcosa va rivisto, ripensato, che ci ha fatto male, che dobbiamo interessarci a quello che sta accadendo, cambiare qualcosa. Innesca strategie adattive. Ci porta ad evolverci, a crescere, a "stadi avanzati di noi".
I nostri stati affettivi si modulano sulla base di cosa ci accade, della nostra vita interiore. Momenti di buio, sconforto, lacrime sono risposte adattive importanti, aiutano a reagire e a ristrutturarci sulla base delle nuove esigenze. Sciogliersi e lasciarsi piegare dal dolore nelle situazioni più traumatiche è necessario per ritrovarsi. Rifiuti, frustrazioni, delusioni, perdite sono in ognuno di noi, inutile fingere di stare sempre bene per forza. Il nostro benessere è un processo che si assesta attraverso stati d’animo complessi.
LE EMOZIONI NEGATIVE SONO FONTE DI BENESSERE
Quando ci sentiamo sconvolti, agitati, depressi c’è bisogno di riconoscere questi stati invece di schiacciarli dentro di noi. Ciò che cerchiamo di allontanare dalla nostra coscienza non sparisce nel nulla ma diventa una grande presenza, un’ombra che acquista potere, prende altre vie e, a volte, diventa malattia. Che arriva nei nostri sogni, come indicano alcuni studi, con una specie di effetto rimbalzo. Più evitiamo sentimenti e pensieri negativi, in effetti, più diamo loro potere. Ricerche recenti stanno scoprendo che questi stati d’animo sono funzionali al nostro benessere. Secondo un nuovo studio tedesco, pubblicato sulla rivista Emotion, la relazione tra frequenza di umore basso ed esiti dannosi in termini di salute fisica e mentale cambia sulla base degli atteggiamenti che le persone hanno nei confronti delle emozioni. I soggetti che rifiutano, che non accettano questi stati d’animo, ne pagano le conseguenze più alte in termini di salute e benessere.
LA CULTURA DEL SORRISO
Il nostro corredo emozionale è ampio, si muove dalla gioia all’angoscia, e questo ha un significato. La cultura del sorriso, del pensiero positivo a tutti i costi, della felicità che ha imperversato negli ultimi decenni, ha tolto profondità alla vita psichica e spessore ai nostri stati d’animo. Inducendo a farci perdere contatto con parti di noi, sfuggendole o banalizzandole. Facendoci credere che la sofferenza vada solo curata, anestetizzata e annullata. Indagini recenti mostrano invece che le esperienze traumatiche smuovono, nella maggioranza dei casi, una crescita psicologica positiva. Dopo un trauma, per quanto devastante, possiamo migliorare la nostra vita, e vivere esperienze di miglioramento che certe volte si rivelano intense e significative, come relazioni più profonde, senso di forza interiore, individuazione di nuove possibilità per la propria esistenza.
Per me l'incontro ravvicinato con la sofferenza e la morte, la possibilità di perdere tutto in un attimo, ha trasformato impercettibilmente ma profondamente la vita intera. Sappiamo tutti, in teoria, di poter morire in ogni momento, anche mentre siamo occupati a fare altri piani. Scoprire quanto sia vero lo rende reale, e niente più è uguale.
Si parla a tal proposito di crescita post-traumatica. Secondo gli psicologi statunitensi Richard Tedeschi e Lawrence Calhoun, dell’università del North Carolina, il trauma smuove un progresso personale quando riusciamo a sfidare le convinzioni, le credenze consolidate nel tempo.
Abbiamo bisogno di scuotere e smantellare la nostra visione del mondo, la nostra stessa identità, per ricostruirci in modo nuovo. Più vacilliamo, più lasciamo andare le idee e ripartiamo da zero, meglio possiamo riorganizzarci per inseguire altre opportunità, aprire nuove vie.
EVADERE DALLA BANALITA'
Dopo perdite importanti, eventi avversi, accadimenti “sismici” - dal punto di vista psicologico -possiamo elaborare ciò che è successo, e arrivare, proprio attraverso lo sconforto, a vederci come non lo abbiamo mai fatto, a formulare domande alle quali non siamo mai arrivati. Lo smarrimento ci costringe a riesaminare il modo di pensare, di dare peso alle cose, può farci evadere dalla banalità degli stessi pensieri, delle credenze antiche, delle identità consolidate.
La sofferenza permette, se scegliamo di cogliere l'occasione, di costruire nuovi obiettivi, schemi, significati. Di essere creativi. Soprattutto può offrire l’occasione di ricostruire noi stessi in modo più autentico, più fedele alla nostra anima e al suo percorso di vita.
Di "fare anima". Disvelarla sempre più, a noi stessi innanzitutto, maturando ciò che ci rende sempre più umani: citando Calvino la profondità, la complessità, e perché no, anche la leggerezza.
Perché ciò che accade se smetto di negare il mio lato ombra, le mie emozioni più difficili e grevi, è che posso piano piano imparare ad accoglierle, integrarle, e ad un certo momento forse non identificarmi più in loro.
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